Claudio Marucchi (Torino, 1977)
Laureatosi in “Religioni e Filosofie dell’India e dell’Estremo Oriente” (Facoltà di Filosofia), con votazione 110/110, presso l’Università degli Studi di Torino, con una tesi di laurea sull’impiego rituale dello Sri-Yantra nel contesto tantrico Kaula. Pubblicazione del testo “Il Tantra dello Sri-Yantra – Il corpo umano reso divino”, ed Psiche 2, Torino (2009), con nota introduttiva del prof. Mario Piantelli, docente di Religioni e Filosofie dell’India e dell’Estremo Oriente a Torino. Il testo è stato presentato dall’autore in occasione del “Festival nazionale dell’India”, 2-3-4 ottobre 2009, Grugliasco (Torino); alla fiera esoterica nazionale “ESOTERIKA” presso Roma, il 7 febbraio 2010 e in diverse librerie, associazioni culturali, centri olistici e scuole di Yoga in Italia.
Pubblicazione del testo “Yoga Marg – la Via dello Yoga”, in collaborazione con Marco Russo, edito dall’Associazione Monginevro Cultura (Torino) all’inizio del 2010. Praticando Yoga con regolarità da 15 anni, ha affiancato Marco Russo, insegnante di Hatha Yoga, per introdurre ogni lezione con una breve spiegazione teorica dei contenuti filosofici e tecnici relativi alle pratiche. Dalle dispense che raccolgono queste lezioni è nato il libro.
Pubblicazione del testo “I Tarocchi e l’Albero della Vita”, edito da Psiche 2 (Torino) alla fine del 2010. Avvalendosi dei dipinti dell’artista inglese Susan Jameson, la presentazione del libro – presso il Teatro Alpha di Torino – è stata l’occasione per esporre, per la prima volta in Italia, alcuni dei quadri relativi alle lame dei Tarocchi che l’artista ha realizzato ispirata da visioni notturne. La seconda edizione del libro è stata ristampata nel 2013.
Pubblicazione del testo “Crux Christi Serpentis – Sulle tracce dei più intimi segreti delle Sacre Scritture”, edito da Atanòr (Roma) nel 2012. Seconda edizione prevista per il 2014.
Pubblicazione del testo “Erotismo e Spiritualità – Introduzione alla Liberazione attraverso il piacere”, edito da L’Età dell’Acquario (Torino) nel 2013.
Da alcuni anni organizza e tiene lezioni/seminari a carattere prettamente culturale, incentrati su tematiche filosofiche, mitologiche e simboliche, con particolare attenzione al confronto tra Oriente ed Occidente.
Laureatosi in “Religioni e Filosofie dell’India e dell’Estremo Oriente” (Facoltà di Filosofia), con votazione 110/110, presso l’Università degli Studi di Torino, con una tesi di laurea sull’impiego rituale dello Sri-Yantra nel contesto tantrico Kaula. Pubblicazione del testo “Il Tantra dello Sri-Yantra – Il corpo umano reso divino”, ed Psiche 2, Torino (2009), con nota introduttiva del prof. Mario Piantelli, docente di Religioni e Filosofie dell’India e dell’Estremo Oriente a Torino. Il testo è stato presentato dall’autore in occasione del “Festival nazionale dell’India”, 2-3-4 ottobre 2009, Grugliasco (Torino); alla fiera esoterica nazionale “ESOTERIKA” presso Roma, il 7 febbraio 2010 e in diverse librerie, associazioni culturali, centri olistici e scuole di Yoga in Italia.
Pubblicazione del testo “Yoga Marg – la Via dello Yoga”, in collaborazione con Marco Russo, edito dall’Associazione Monginevro Cultura (Torino) all’inizio del 2010. Praticando Yoga con regolarità da 15 anni, ha affiancato Marco Russo, insegnante di Hatha Yoga, per introdurre ogni lezione con una breve spiegazione teorica dei contenuti filosofici e tecnici relativi alle pratiche. Dalle dispense che raccolgono queste lezioni è nato il libro.
Pubblicazione del testo “I Tarocchi e l’Albero della Vita”, edito da Psiche 2 (Torino) alla fine del 2010. Avvalendosi dei dipinti dell’artista inglese Susan Jameson, la presentazione del libro – presso il Teatro Alpha di Torino – è stata l’occasione per esporre, per la prima volta in Italia, alcuni dei quadri relativi alle lame dei Tarocchi che l’artista ha realizzato ispirata da visioni notturne. La seconda edizione del libro è stata ristampata nel 2013.
Pubblicazione del testo “Crux Christi Serpentis – Sulle tracce dei più intimi segreti delle Sacre Scritture”, edito da Atanòr (Roma) nel 2012. Seconda edizione prevista per il 2014.
Pubblicazione del testo “Erotismo e Spiritualità – Introduzione alla Liberazione attraverso il piacere”, edito da L’Età dell’Acquario (Torino) nel 2013.
Da alcuni anni organizza e tiene lezioni/seminari a carattere prettamente culturale, incentrati su tematiche filosofiche, mitologiche e simboliche, con particolare attenzione al confronto tra Oriente ed Occidente.
SPIRITUALITÀ
Cos’è Spirituale?
Diffido della capacità di definire termini di portata così ampia, in ambiti così incerti, vasti, e nei quali l’esperienza interiore è determinante. Inoltre considera quanta differenza vi sia tra l’idea di “Spiritualità” nell’antichità e nella visione odierna, oppure tra oriente ed occidente. Da un lato sono tentato di aderire alla visione Junghiana di “Spiritus rector” come potenza interiore del Sé individuale, un potenziale che può essere sviluppato per orientare e realizzare la propria unicità, la propria “ciascunità”, direbbe James Hillman. Dall’altro, a proposito di Hillman, la sua visione della differenza tra anima come “medium”, sguardo o prospettiva direttamente connessa all’immaginazione – distinta dallo spirito come elevazione, trascendenza, distanza dal mondo – è decisamente interessante, perché abbraccia una visione di spiritualità come processo di verticalizzazione, crescita e purificazione che è stato il marchio di fabbrica di ogni metafisica, per prime le religioni ovviamente. Conviene procedere al contrario e pensare cosa NON sia “spirituale”. Al giorno d’oggi questo è un termine che trascina confusione, risente dell’accozzaglia magmatica di un soggettivismo senza appigli né direzione, in cui sembra valere tutto ed il contrario di tutto. Sta passando il messaggio che la realizzazione spirituale possa coincidere con la soddisfazione dei propri capricci, dei propri desideri trattati come “diritti naturali”. Così diventa spirituale persino tutto ciò che tradizionalmente è stato bandito dall’ottica della crescita interiore: dalla ricerca della felicità al benessere, dalla ricchezza alla prosperità. Nell’India vedica, la ricerca della felicità era considerata il livello più infimo del percorso di realizzazione, qualcosa che ci rende più simili alle bestie che al divino. Un sorriso inebetito dipinto sul volto oggi viene scambiato per sintomo di “risveglio”. Sembra che gli zombi si credano improvvisamente “viventi”, dimenticando di essere comunque, innanzitutto, “morti”. In compenso, tutto ciò che ha sempre consentito un contatto profondo con il proprio centro – l’estasi ed il dolore, la notte, la solitudine, l’emarginazione, le tenebre, la discesa, il vuoto e persino il terrore – vengono considerati come sintomi di distanza dallo spirito, vissuti come errori, o problemi da evitare. Si sono rovesciati i termini: se stai bene sei realizzato spiritualmente, il che è l’opposto di tutto ciò che ha contraddistinto i cammini interiori, costellati di cadute e risalite, di follia e dolore, di estasi e di emarginazione. Il risultato è che oggi è considerato “spirituale” quello che ad occhi attenti risulta un insieme di nevrosi. La fuga dal mondo e da se stessi è celebrata come spiritualità. La finzione del benessere è scambiata per spiritualità. Il culto della propria salute è confuso con la spiritualità. Un insieme di frustrazioni attende i cultori di questa falsificazione. Per ciò che mi riguarda, spirituale è il processo di avvicinamento al proprio centro, la messa in moto della propria unità ed unicità, la graduale libertà a cui può giungere un soggetto, qualcosa di molto vicino all’individuazione secondo C. G. Jung o al compimento della vera Volontà secondo A. Crowley. Tale processo necessita di una vita di lavoro durissimo, e non di qualche weekend a caro prezzo dove si esperisce, essenzialmente, qualche forma di illusione.
Diffido della capacità di definire termini di portata così ampia, in ambiti così incerti, vasti, e nei quali l’esperienza interiore è determinante. Inoltre considera quanta differenza vi sia tra l’idea di “Spiritualità” nell’antichità e nella visione odierna, oppure tra oriente ed occidente. Da un lato sono tentato di aderire alla visione Junghiana di “Spiritus rector” come potenza interiore del Sé individuale, un potenziale che può essere sviluppato per orientare e realizzare la propria unicità, la propria “ciascunità”, direbbe James Hillman. Dall’altro, a proposito di Hillman, la sua visione della differenza tra anima come “medium”, sguardo o prospettiva direttamente connessa all’immaginazione – distinta dallo spirito come elevazione, trascendenza, distanza dal mondo – è decisamente interessante, perché abbraccia una visione di spiritualità come processo di verticalizzazione, crescita e purificazione che è stato il marchio di fabbrica di ogni metafisica, per prime le religioni ovviamente. Conviene procedere al contrario e pensare cosa NON sia “spirituale”. Al giorno d’oggi questo è un termine che trascina confusione, risente dell’accozzaglia magmatica di un soggettivismo senza appigli né direzione, in cui sembra valere tutto ed il contrario di tutto. Sta passando il messaggio che la realizzazione spirituale possa coincidere con la soddisfazione dei propri capricci, dei propri desideri trattati come “diritti naturali”. Così diventa spirituale persino tutto ciò che tradizionalmente è stato bandito dall’ottica della crescita interiore: dalla ricerca della felicità al benessere, dalla ricchezza alla prosperità. Nell’India vedica, la ricerca della felicità era considerata il livello più infimo del percorso di realizzazione, qualcosa che ci rende più simili alle bestie che al divino. Un sorriso inebetito dipinto sul volto oggi viene scambiato per sintomo di “risveglio”. Sembra che gli zombi si credano improvvisamente “viventi”, dimenticando di essere comunque, innanzitutto, “morti”. In compenso, tutto ciò che ha sempre consentito un contatto profondo con il proprio centro – l’estasi ed il dolore, la notte, la solitudine, l’emarginazione, le tenebre, la discesa, il vuoto e persino il terrore – vengono considerati come sintomi di distanza dallo spirito, vissuti come errori, o problemi da evitare. Si sono rovesciati i termini: se stai bene sei realizzato spiritualmente, il che è l’opposto di tutto ciò che ha contraddistinto i cammini interiori, costellati di cadute e risalite, di follia e dolore, di estasi e di emarginazione. Il risultato è che oggi è considerato “spirituale” quello che ad occhi attenti risulta un insieme di nevrosi. La fuga dal mondo e da se stessi è celebrata come spiritualità. La finzione del benessere è scambiata per spiritualità. Il culto della propria salute è confuso con la spiritualità. Un insieme di frustrazioni attende i cultori di questa falsificazione. Per ciò che mi riguarda, spirituale è il processo di avvicinamento al proprio centro, la messa in moto della propria unità ed unicità, la graduale libertà a cui può giungere un soggetto, qualcosa di molto vicino all’individuazione secondo C. G. Jung o al compimento della vera Volontà secondo A. Crowley. Tale processo necessita di una vita di lavoro durissimo, e non di qualche weekend a caro prezzo dove si esperisce, essenzialmente, qualche forma di illusione.
Cosa ne pensi della non troppo recente mercificazione della Spiritualità?
Non è una novità, in effetti. Aver reso un lavoro o una professione la propria vocazione verso la materia interiore non è un male in sé (eccetto che la specializzazione, in questo ambito, può risultare tanto dannosa quanto la generalizzazione), ma come sempre c’è chi ne approfitta, e mancano strumenti adeguati per operare i necessari distinguo. I palati non raffinati non sanno riconoscere la qualità, quindi tendono a livellare verso il basso. Non si può però nemmeno colpevolizzare chi si mette a dare alle persone ciò che esse chiedono. Se voglio uscire da una gabbia per entrare in un’altra, mi basterà trovare il “guru” o il metodo che faccia presa sulle mie lacune, così non sarò io ad occuparmi di riconoscerle e colmarle; parliamo sempre di un “credo”, che si tratti di una tecnica di risoluzione dei propri complessi o traumi mediante la vibrazione delle onde theta, che si tratti di uno sciamano che pulisce l’aura, di una serie di raggi colorati da abbinare ai giorni della settimana, o di un contatto con l’Arcangelo Michele o di uno che vede i morti o parla con gli alieni. E’ spesso una forma di fede, gravemente semplificata e spettacolarizzata. La spiritualità oggi ha meccanismi psicologici simili a quelli che animano il “complottismo” e continua in fondo ad essere intrisa dello stesso dualismo che sorregge le religioni monoteiste (io/altri, puro/impuro, spirito/materia, giusto/sbagliato, bene/male, luce/tenebre, felicità/inadeguatezza, benessere/malessere). Per me tali dinamiche sono assimilabili a delle forme di superstizione. In genere questi personaggi non ti insegnano a parlare con gli alieni o gli angeli, ma a credere a loro, che dicono di essere in grado di farlo; non ti insegnano a pulire le vibrazioni di una stanza (ammesso che abbia senso questo enunciato), ma a fidarti di chi dice di essere in grado di farlo. In ogni caso, la domanda che nessuno si pone è: perché e da cosa dovrei “pulirmi”? Cosa mi rende sporco ed impuro a livello sottile a tal punto da necessitare l’intervento di uno che saprebbe ripulirmi? Perché mai la spiritualità è relegata a concetti come pulizia, purificazione, elevazione, distacco, luce, ricchezza, salute, controllo e non si contemplano invece la contaminazione, il mischiarsi, la discesa, la grotta, le tenebre, la perdita di controllo? Non è chiaro il rischio che si tratti di nevrosi mascherate? Di un neo-cattolicesimo privo della statura e dello spessore della religione cristiana? Se i nuovi (pseudo) guru decidono di insegnare o trasmettere delle tecniche, ecco emergere l’altro limite dell’occidentale di oggi: l’incrollabile fiducia in una tecnica o in un metodo. Si crede di poter prescindere dal vissuto personale e dal lavoro interiore, aspettando che qualcuno riveli dov’è il “pulsante” dell’illuminazione o la “leva” del risveglio. In fondo, se pagano è perché vogliono “comprare”. Ma il lento lavoro su se stessi non è acquistabile, innanzitutto perché non è detto che sia un “bene”, e secondariamente perché ci vuole tanto tempo. Ad esempio, nel mio lavoro di divulgazione mi limito a fare “intrattenimento culturale”, operando sintesi su argomenti che risparmiano agli utenti lo studio di svariate decine di libri. Metto al servizio dell’intelligenza degli utenti una serie di informazioni collegate, che potrebbero aprire nuovi orizzonti interiori. Molti vogliono vivere esperienze, e non si rendono conto che pagano per vivere il riflesso di esperienze altrui, sempre che chi dice di vivere una certa condizione o esperienza stia dicendo il vero. Se mi occupassi di dire (a pagamento) alle persone che cosa dovrebbero fare per realizzarsi interiormente, per stare meglio, per liberarsi dai propri problemi, sarei uno pseudo-guru, avrei l’arroganza di pretendere di sapere che cosa sia meglio per un perfetto sconosciuto e dovrei fare i conti con molto più che una semplice etichetta, ma con una serie di legami cui rinuncio volentieri. Io non spaccio metodi di realizzazione, sebbene segua da anni un percorso iniziatico, che però non è oggetto di pubblicità nel mio lavoro. Questo limitarsi, da parte mia, a mettere al servizio dell’intelligenza degli utenti una serie di informazioni sintetizzate e proporre collegamenti tra i vari ambiti di cui mi occupo, lo considero un atto di rispetto nei loro confronti.
Non è una novità, in effetti. Aver reso un lavoro o una professione la propria vocazione verso la materia interiore non è un male in sé (eccetto che la specializzazione, in questo ambito, può risultare tanto dannosa quanto la generalizzazione), ma come sempre c’è chi ne approfitta, e mancano strumenti adeguati per operare i necessari distinguo. I palati non raffinati non sanno riconoscere la qualità, quindi tendono a livellare verso il basso. Non si può però nemmeno colpevolizzare chi si mette a dare alle persone ciò che esse chiedono. Se voglio uscire da una gabbia per entrare in un’altra, mi basterà trovare il “guru” o il metodo che faccia presa sulle mie lacune, così non sarò io ad occuparmi di riconoscerle e colmarle; parliamo sempre di un “credo”, che si tratti di una tecnica di risoluzione dei propri complessi o traumi mediante la vibrazione delle onde theta, che si tratti di uno sciamano che pulisce l’aura, di una serie di raggi colorati da abbinare ai giorni della settimana, o di un contatto con l’Arcangelo Michele o di uno che vede i morti o parla con gli alieni. E’ spesso una forma di fede, gravemente semplificata e spettacolarizzata. La spiritualità oggi ha meccanismi psicologici simili a quelli che animano il “complottismo” e continua in fondo ad essere intrisa dello stesso dualismo che sorregge le religioni monoteiste (io/altri, puro/impuro, spirito/materia, giusto/sbagliato, bene/male, luce/tenebre, felicità/inadeguatezza, benessere/malessere). Per me tali dinamiche sono assimilabili a delle forme di superstizione. In genere questi personaggi non ti insegnano a parlare con gli alieni o gli angeli, ma a credere a loro, che dicono di essere in grado di farlo; non ti insegnano a pulire le vibrazioni di una stanza (ammesso che abbia senso questo enunciato), ma a fidarti di chi dice di essere in grado di farlo. In ogni caso, la domanda che nessuno si pone è: perché e da cosa dovrei “pulirmi”? Cosa mi rende sporco ed impuro a livello sottile a tal punto da necessitare l’intervento di uno che saprebbe ripulirmi? Perché mai la spiritualità è relegata a concetti come pulizia, purificazione, elevazione, distacco, luce, ricchezza, salute, controllo e non si contemplano invece la contaminazione, il mischiarsi, la discesa, la grotta, le tenebre, la perdita di controllo? Non è chiaro il rischio che si tratti di nevrosi mascherate? Di un neo-cattolicesimo privo della statura e dello spessore della religione cristiana? Se i nuovi (pseudo) guru decidono di insegnare o trasmettere delle tecniche, ecco emergere l’altro limite dell’occidentale di oggi: l’incrollabile fiducia in una tecnica o in un metodo. Si crede di poter prescindere dal vissuto personale e dal lavoro interiore, aspettando che qualcuno riveli dov’è il “pulsante” dell’illuminazione o la “leva” del risveglio. In fondo, se pagano è perché vogliono “comprare”. Ma il lento lavoro su se stessi non è acquistabile, innanzitutto perché non è detto che sia un “bene”, e secondariamente perché ci vuole tanto tempo. Ad esempio, nel mio lavoro di divulgazione mi limito a fare “intrattenimento culturale”, operando sintesi su argomenti che risparmiano agli utenti lo studio di svariate decine di libri. Metto al servizio dell’intelligenza degli utenti una serie di informazioni collegate, che potrebbero aprire nuovi orizzonti interiori. Molti vogliono vivere esperienze, e non si rendono conto che pagano per vivere il riflesso di esperienze altrui, sempre che chi dice di vivere una certa condizione o esperienza stia dicendo il vero. Se mi occupassi di dire (a pagamento) alle persone che cosa dovrebbero fare per realizzarsi interiormente, per stare meglio, per liberarsi dai propri problemi, sarei uno pseudo-guru, avrei l’arroganza di pretendere di sapere che cosa sia meglio per un perfetto sconosciuto e dovrei fare i conti con molto più che una semplice etichetta, ma con una serie di legami cui rinuncio volentieri. Io non spaccio metodi di realizzazione, sebbene segua da anni un percorso iniziatico, che però non è oggetto di pubblicità nel mio lavoro. Questo limitarsi, da parte mia, a mettere al servizio dell’intelligenza degli utenti una serie di informazioni sintetizzate e proporre collegamenti tra i vari ambiti di cui mi occupo, lo considero un atto di rispetto nei loro confronti.
In “Erotismo e Spiritualità” hai dato un profondo sguardo al legame che c’è tra questi due elementi…
Quel libro è un’introduzione ad un argomento millenario che coinvolge in egual misura, pur con le dovute differenze, l’oriente e l’occidente. Ho alternato aspetti tradizionali, riassumendo alcuni passaggi di una sapienza secolare, con aspetti personali, fondati sulle esperienze pratiche di “sex magick” che conduco da oltre un decennio. La sintesi erotico-magica non conosce confini, e sebbene lo sviluppo orientale (Cina ed India su tutti) fosse più esplicito ed aperto rispetto a quello occidentale, anche l’antico Egitto, la Grecia antica, ed i movimenti gnostici cristiani dei primi secoli d. C. hanno maneggiato questa sintesi. L’Eros apre le porte al Sacro, ed è il modo più immediato per chiunque di aver un approccio al numinoso e al trascendente. I misteri della sessualità mistica sono celati tra le pieghe dei testi sacri, spesso ben criptati, ma anni di pratica aiutano nella decodificazione. E’ un percorso che va abbinato alla propria crescita interiore, nel senso che i troppi condizionamenti che abbiamo sulla sessualità rendono necessario un lungo lavoro preliminare. Non è praticabile questo tipo di amore se si pensa che sia solo una questione tecnica. Vi è anche una “riesumazione” dell’istinto. In realtà un enorme lavoro sulla propria psiche è necessario viatico per la resa nell’ambito della sessualità mistico-magica. E’ una questione che concerne anche l’etica. Uno deve aver fatto i conti con imbarazzi o vergogne, paure, sindrome da abbandono, gelosie, possesso, attaccamenti, territorialità, identificazione nel partner e tutto ciò che normalmente contraddistingue un rapporto di coppia. Chi crede di poter fare a meno di questo lavoro, oppure si nasconde giustificando in qualunque modo la seppur minima presenza di tali “sentimenti”, si sta prendendo in giro da solo. Libertà e Amore devono essere una cosa sola… e la sola cosa! Il resto è pietra d’inciampo e serve solo a giustificare le proprie mancanze. E’ talmente difficile che, in vita mia, avrò conosciuto sì e no un paio di persone in grado di essere ciò che dicevano di essere. Gli altri, immancabilmente, falliscono al momento della prova. Credo sia per questa ragione che i Tantra consigliavano di praticare con persone con cui non si aveva alcun legame, all’interno di rapporti “occasionali” o scevri da qualunque sentimentalismo, progetti di vita condivisi o matrimoni. Il lato preparatorio, teorico ha occupato una parte corposa del mio lavoro e anche del libro, mentre il lato pratico si fonda sull’esperienza e ha bisogno di un’attitudine pura, che richiede costantemente di verificare le “prove”.
Quel libro è un’introduzione ad un argomento millenario che coinvolge in egual misura, pur con le dovute differenze, l’oriente e l’occidente. Ho alternato aspetti tradizionali, riassumendo alcuni passaggi di una sapienza secolare, con aspetti personali, fondati sulle esperienze pratiche di “sex magick” che conduco da oltre un decennio. La sintesi erotico-magica non conosce confini, e sebbene lo sviluppo orientale (Cina ed India su tutti) fosse più esplicito ed aperto rispetto a quello occidentale, anche l’antico Egitto, la Grecia antica, ed i movimenti gnostici cristiani dei primi secoli d. C. hanno maneggiato questa sintesi. L’Eros apre le porte al Sacro, ed è il modo più immediato per chiunque di aver un approccio al numinoso e al trascendente. I misteri della sessualità mistica sono celati tra le pieghe dei testi sacri, spesso ben criptati, ma anni di pratica aiutano nella decodificazione. E’ un percorso che va abbinato alla propria crescita interiore, nel senso che i troppi condizionamenti che abbiamo sulla sessualità rendono necessario un lungo lavoro preliminare. Non è praticabile questo tipo di amore se si pensa che sia solo una questione tecnica. Vi è anche una “riesumazione” dell’istinto. In realtà un enorme lavoro sulla propria psiche è necessario viatico per la resa nell’ambito della sessualità mistico-magica. E’ una questione che concerne anche l’etica. Uno deve aver fatto i conti con imbarazzi o vergogne, paure, sindrome da abbandono, gelosie, possesso, attaccamenti, territorialità, identificazione nel partner e tutto ciò che normalmente contraddistingue un rapporto di coppia. Chi crede di poter fare a meno di questo lavoro, oppure si nasconde giustificando in qualunque modo la seppur minima presenza di tali “sentimenti”, si sta prendendo in giro da solo. Libertà e Amore devono essere una cosa sola… e la sola cosa! Il resto è pietra d’inciampo e serve solo a giustificare le proprie mancanze. E’ talmente difficile che, in vita mia, avrò conosciuto sì e no un paio di persone in grado di essere ciò che dicevano di essere. Gli altri, immancabilmente, falliscono al momento della prova. Credo sia per questa ragione che i Tantra consigliavano di praticare con persone con cui non si aveva alcun legame, all’interno di rapporti “occasionali” o scevri da qualunque sentimentalismo, progetti di vita condivisi o matrimoni. Il lato preparatorio, teorico ha occupato una parte corposa del mio lavoro e anche del libro, mentre il lato pratico si fonda sull’esperienza e ha bisogno di un’attitudine pura, che richiede costantemente di verificare le “prove”.
Vedi un legame tra Spiritualità e Psicologia?
Certamente, un legame in parte ancora da decifrare, ma Jung ha aperto una strada che alcuni stanno percorrendo. La storia dei rapporti tra coscienza e spiritualità è vecchia quanto la coscienza o quanto lo spirito, quindi mi riferisco solo alla psicologia come disciplina contemporanea. La psicologia è vittima, come tutte le altre “discipline”, della foga organizzatrice che tende a definire, separare, distinguere, classificare, delimitare. Mi rendo conto di quanti limiti possa recare in seno un sapere se soggiace alla tentazione della sistematizzazione e dell’iper-definizione. In un caso come quello della Psiche, mai tentativo fu più maldestro e destinato in buona parte a fallire. E’ necessario restituire spazio e spessore al ruolo dell’immaginazione, vera sorgente delle immagini che animano l’arte, la cultura simbolica, la mitologia e la storia delle religioni. Paradossalmente, sono proprio “gli emarginati” dalla psicologia a poter contribuire maggiormente a rinvenire il filo rosso che collega lo sviluppo dell’interiorità, nonché le svariate dottrine magiche e mistiche, alla psicologia intesa nel senso più “accademico” del termine. I tentativi fatti su alchimia, taoismo, yoga e mistica, per esempio, dovranno essere tradotti in termini pratici, esperienziali, non più solo in termini teorici, intuitivi, comparativi. Ciò che fino ad ora è stato osservato dall’esterno e dall’alto, deve portare ad una piena immersione, si deve osare scendere sul terreno fangoso dell’esperienza pratica e “sporcarsi” con e di essa. Si invocano spesso nuovi approcci, ma poi chi si fa avanti coraggiosamente a proporre qualcosa di inedito e sperimentale viene immediatamente “ghettizzato”, attaccato e talvolta deriso. Non solo la psicologia, ma anche la filosofia può vantare non pochi legami con il mondo dell’esoterismo e della spiritualità, se pensi che nei manuali universitari, quando frequentavo la facoltà di filosofia, capitava di imbattersi in Pico della Mirandola, Paracelso, Cornelius Agrippa… Resta però insindacabile che la prima disciplina a fare i conti con il mondo magico-mistico a livello accademico fu, ed è tuttora, l’antropologia culturale e transculturale.
Certamente, un legame in parte ancora da decifrare, ma Jung ha aperto una strada che alcuni stanno percorrendo. La storia dei rapporti tra coscienza e spiritualità è vecchia quanto la coscienza o quanto lo spirito, quindi mi riferisco solo alla psicologia come disciplina contemporanea. La psicologia è vittima, come tutte le altre “discipline”, della foga organizzatrice che tende a definire, separare, distinguere, classificare, delimitare. Mi rendo conto di quanti limiti possa recare in seno un sapere se soggiace alla tentazione della sistematizzazione e dell’iper-definizione. In un caso come quello della Psiche, mai tentativo fu più maldestro e destinato in buona parte a fallire. E’ necessario restituire spazio e spessore al ruolo dell’immaginazione, vera sorgente delle immagini che animano l’arte, la cultura simbolica, la mitologia e la storia delle religioni. Paradossalmente, sono proprio “gli emarginati” dalla psicologia a poter contribuire maggiormente a rinvenire il filo rosso che collega lo sviluppo dell’interiorità, nonché le svariate dottrine magiche e mistiche, alla psicologia intesa nel senso più “accademico” del termine. I tentativi fatti su alchimia, taoismo, yoga e mistica, per esempio, dovranno essere tradotti in termini pratici, esperienziali, non più solo in termini teorici, intuitivi, comparativi. Ciò che fino ad ora è stato osservato dall’esterno e dall’alto, deve portare ad una piena immersione, si deve osare scendere sul terreno fangoso dell’esperienza pratica e “sporcarsi” con e di essa. Si invocano spesso nuovi approcci, ma poi chi si fa avanti coraggiosamente a proporre qualcosa di inedito e sperimentale viene immediatamente “ghettizzato”, attaccato e talvolta deriso. Non solo la psicologia, ma anche la filosofia può vantare non pochi legami con il mondo dell’esoterismo e della spiritualità, se pensi che nei manuali universitari, quando frequentavo la facoltà di filosofia, capitava di imbattersi in Pico della Mirandola, Paracelso, Cornelius Agrippa… Resta però insindacabile che la prima disciplina a fare i conti con il mondo magico-mistico a livello accademico fu, ed è tuttora, l’antropologia culturale e transculturale.
Credi che un domani questa “materia” possa farsi posto dietro una cattedra universitaria?
Sta già accadendo, in realtà. Svezia e Olanda sono state tra le prime ad aprire le porte ad una “dignità” accademica per una vasta letteratura e cultura esoterica che, fino a ieri, era vissuta sottotraccia, appannaggio di cerchie iniziatiche o di studi personali di appassionati di simbologia, esoterismo o spiritualità “di confine”. Ora anche in Italia si è finalmente mosso qualcosa. L’Università Bicocca di Milano ha inaugurato, per la prima volta in assoluto, un Master universitario in culture simboliche, magistralmente condotto da docenti preparati e coraggiosi, in modo davvero innovativo e fuori dalle grigie e rigide abitudini accademiche. Il professor Paolo Mottana è tra i promotori, ideatori, ed organizzatori di questa fondamentale “prima pietra”, nella speranza che possa essere solo l’inizio di un percorso che conduca ad un riconoscimento accademico più ampio in Italia.
Sta già accadendo, in realtà. Svezia e Olanda sono state tra le prime ad aprire le porte ad una “dignità” accademica per una vasta letteratura e cultura esoterica che, fino a ieri, era vissuta sottotraccia, appannaggio di cerchie iniziatiche o di studi personali di appassionati di simbologia, esoterismo o spiritualità “di confine”. Ora anche in Italia si è finalmente mosso qualcosa. L’Università Bicocca di Milano ha inaugurato, per la prima volta in assoluto, un Master universitario in culture simboliche, magistralmente condotto da docenti preparati e coraggiosi, in modo davvero innovativo e fuori dalle grigie e rigide abitudini accademiche. Il professor Paolo Mottana è tra i promotori, ideatori, ed organizzatori di questa fondamentale “prima pietra”, nella speranza che possa essere solo l’inizio di un percorso che conduca ad un riconoscimento accademico più ampio in Italia.
TANTRA E SESSUALITÀ
Cos’è il Tantra?
Provo a riassumere in modo drasticamente sintetico. E’ un termine composto, della lingua sanscrita, formato dal suffisso “tra”, che crea il caso strumentale, e la radice “tan”, da cui deriva il latino “tendo”, per esempio. Tantra perciò significa “strumento per tendere”, letteralmente. Per traslato diventa “telaio”, uno strumento che funge da metafora per il passaggio dal caos all’ordine. Poi “Tantra” è un termine che comincia a designare un insieme articolato di scritti rivelati, che cominciano ad apparire nei primissimi secoli d.C., per andare incontro ad un’esigenza diffusa: quella di superare, andare oltre i limiti della filosofia vedica, percepita da molti come decaduta, superata, spenta. La “nuova rivelazione” tipica dei testi tantrici consiste nelle dottrine teoriche e pratiche che consentono di approcciare il percorso di realizzazione nel c.d. “Kali Yuga” (letteralm. “l’era del punteggio perdente”), cioè nell’era di dispersione e frammentazione che stiamo vivendo. I testi tantrici danno vita a sistemi iniziatici che sono spesso molto distanti l’uno dall’altro, sia nell’impianto etico, nei presupposti teorici, che nella parte pratica. Esistono diversi gruppi che adorano Shiva, altri che adorano Vishnu, e altri ancora, la maggioranza, che adorano una delle innumerevoli forme della Dea (Shakti). Si tratta di grandissime differenze, che rendono impossibile il rinvenimento di un’unità di fondo. Le sole componenti comuni riguardano la necessità di sottoporsi ad un rito iniziatico, la preminenza dell’aspetto rituale e le dure pratiche ascetiche che sarebbero in grado di scoraggiare qualunque occidentale anche fortemente incuriosito dal tentare un simile percorso. Questo è il motivo per cui io, personalmente, sconsiglio ai praticanti di erotismo mistico di andar in giro dicendo di essere “esperti” o “praticanti” di Tantra. Per chiarirsi un po’ le idee ecco un breve video: http://youtu.be/4GKKLyncG2E
Provo a riassumere in modo drasticamente sintetico. E’ un termine composto, della lingua sanscrita, formato dal suffisso “tra”, che crea il caso strumentale, e la radice “tan”, da cui deriva il latino “tendo”, per esempio. Tantra perciò significa “strumento per tendere”, letteralmente. Per traslato diventa “telaio”, uno strumento che funge da metafora per il passaggio dal caos all’ordine. Poi “Tantra” è un termine che comincia a designare un insieme articolato di scritti rivelati, che cominciano ad apparire nei primissimi secoli d.C., per andare incontro ad un’esigenza diffusa: quella di superare, andare oltre i limiti della filosofia vedica, percepita da molti come decaduta, superata, spenta. La “nuova rivelazione” tipica dei testi tantrici consiste nelle dottrine teoriche e pratiche che consentono di approcciare il percorso di realizzazione nel c.d. “Kali Yuga” (letteralm. “l’era del punteggio perdente”), cioè nell’era di dispersione e frammentazione che stiamo vivendo. I testi tantrici danno vita a sistemi iniziatici che sono spesso molto distanti l’uno dall’altro, sia nell’impianto etico, nei presupposti teorici, che nella parte pratica. Esistono diversi gruppi che adorano Shiva, altri che adorano Vishnu, e altri ancora, la maggioranza, che adorano una delle innumerevoli forme della Dea (Shakti). Si tratta di grandissime differenze, che rendono impossibile il rinvenimento di un’unità di fondo. Le sole componenti comuni riguardano la necessità di sottoporsi ad un rito iniziatico, la preminenza dell’aspetto rituale e le dure pratiche ascetiche che sarebbero in grado di scoraggiare qualunque occidentale anche fortemente incuriosito dal tentare un simile percorso. Questo è il motivo per cui io, personalmente, sconsiglio ai praticanti di erotismo mistico di andar in giro dicendo di essere “esperti” o “praticanti” di Tantra. Per chiarirsi un po’ le idee ecco un breve video: http://youtu.be/4GKKLyncG2E
A quale tradizione Tantrica ti riferisci principalmente nei tuoi studi?
Mi riferisco solitamente alla corrente meno conosciuta, meno praticata e decisamente meno accessibile, che va sotto la denominazione generale di “via della mano sinistra” (vama marg), perché i primi praticanti di questo tipo di Tantra venivano dal nord dell’India (indicato dalla mano sinistra, come il sud dalla destra, perché l’uomo è immaginato con il viso rivolto ad est). Si tratta di complessi dottrinali su cui si è scritto abbastanza, ma di cui sappiamo relativamente poco. Oggi un occidentale medio non potrebbe nemmeno lontanamente compiere un cammino identico a quello proposto dai Tantrika della mano sinistra. Si possono decontestualizzare alcune pratiche ed inserirle nel tessuto della vita occidentale contemporanea, ma, come dicevo, è più onesto evitare di dirsi “praticanti di tantra”, e rivolgere le proprie attenzioni alla magia sessuale, una versione occidentale più moderna e molto più accessibile, che trova i propri padri in personaggi del calibro di Pascal Beverly Randolph, Aleister Crowley, Maria de Naglowska, John Whiteside “Jack” Parsons ed altri. Il fatto che io mi riferisca alla via della mano sinistra non significa che io la possa praticare (il che è da escludere per un occidentale), ma che possa ispirarmi ad alcuni principi etici e filosofici, ad esempio la necessità di liberarsi dai “guru”, o dal falso concetto di “Tradizione” con la “T” maiuscola (che non esiste affatto, essendo una finzione linguistica inventata da personaggi come Evola e Guenon, che non avevano né la statura dei filosofi, né quella degli adepti), o di contribuire alla dissoluzione dei culti e delle religioni della vecchia èra.
Mi riferisco solitamente alla corrente meno conosciuta, meno praticata e decisamente meno accessibile, che va sotto la denominazione generale di “via della mano sinistra” (vama marg), perché i primi praticanti di questo tipo di Tantra venivano dal nord dell’India (indicato dalla mano sinistra, come il sud dalla destra, perché l’uomo è immaginato con il viso rivolto ad est). Si tratta di complessi dottrinali su cui si è scritto abbastanza, ma di cui sappiamo relativamente poco. Oggi un occidentale medio non potrebbe nemmeno lontanamente compiere un cammino identico a quello proposto dai Tantrika della mano sinistra. Si possono decontestualizzare alcune pratiche ed inserirle nel tessuto della vita occidentale contemporanea, ma, come dicevo, è più onesto evitare di dirsi “praticanti di tantra”, e rivolgere le proprie attenzioni alla magia sessuale, una versione occidentale più moderna e molto più accessibile, che trova i propri padri in personaggi del calibro di Pascal Beverly Randolph, Aleister Crowley, Maria de Naglowska, John Whiteside “Jack” Parsons ed altri. Il fatto che io mi riferisca alla via della mano sinistra non significa che io la possa praticare (il che è da escludere per un occidentale), ma che possa ispirarmi ad alcuni principi etici e filosofici, ad esempio la necessità di liberarsi dai “guru”, o dal falso concetto di “Tradizione” con la “T” maiuscola (che non esiste affatto, essendo una finzione linguistica inventata da personaggi come Evola e Guenon, che non avevano né la statura dei filosofi, né quella degli adepti), o di contribuire alla dissoluzione dei culti e delle religioni della vecchia èra.
In “Crux Christi Serpentis” dai una lettura tantrica della Bibbia. Da cosa parte il tuo lavoro?
La storia è vecchia quanto il Cristo stesso! Gli eresiologi come Ireneo, Ippolito, Agostino ed Epifanio, nei loro libri (siamo tra il I° ed il IV° secolo d. C.) denunciano una serie di gruppi cristiani dei primi anni d.C. (accusandoli di eresia) dediti alla pratica orgiastica e alla consumazione eucaristica dei fluidi prodotti dall’orgasmo durante quel rito chiamato Agape, che anticipava l’odierna messa. Nel Sinodo di Laodicea appare una frase che dice (cito a memoria quindi non sarà proprio identica): “Da questo momento è fatto divieto ai fedeli cristiani di recare il giaciglio nel tempio, per evitare di rendere troppo comodo l’amore” (!). La sessualità, spesso orgiastica, e l’ingestione del seme e del sangue (retaggio di antichi culti mesopotamici, orientali e della Grecia antica) era per loro il modo di celebrare l’ultima cena. Il tema è stato approfondito e studiato da vari autori, tra i quali Clement de Saint-Marq. Ho rispolverato questi autori, ho organizzato in un agile libro alcuni di questi motivi interpretativi, li ho accostati alle pratiche tantriche per ribadire l’esistenza di una potenziale continuità tra oriente ed occidente. Ovviamente sono stato accusato di mentire o di promuovere pratiche oscene. C’è persino chi mi ha accusato di favorire la giustificazione della pedofilia tra i preti! Mi sono limitato a riportare studi ed informazioni esistenti da tempo, non ho scritto che bisognerebbe fare così, o che questa sia la verità. Ma le persone, come sempre quando si tocca qualche corda profonda, si scagliano con violenza contro il megafono. La fiera dell’ignoranza. Mi sono divertito a battagliare con qualche cattolico oltranzista che invocava per me la dannazione dell’anima, o che rimpiangeva la “messa all’indice”, ma anche con qualche collega disattento (sto usando un eufemismo), che non ha capito che mi riferivo a testi antichi e pensava scrivessi per indurre a praticare in tal modo l’eucarestia, o che le idee fossero mie e andassero bandite perché pericolose, sconce o eticamente inaccettabili. Un sorriso anche per loro.
La storia è vecchia quanto il Cristo stesso! Gli eresiologi come Ireneo, Ippolito, Agostino ed Epifanio, nei loro libri (siamo tra il I° ed il IV° secolo d. C.) denunciano una serie di gruppi cristiani dei primi anni d.C. (accusandoli di eresia) dediti alla pratica orgiastica e alla consumazione eucaristica dei fluidi prodotti dall’orgasmo durante quel rito chiamato Agape, che anticipava l’odierna messa. Nel Sinodo di Laodicea appare una frase che dice (cito a memoria quindi non sarà proprio identica): “Da questo momento è fatto divieto ai fedeli cristiani di recare il giaciglio nel tempio, per evitare di rendere troppo comodo l’amore” (!). La sessualità, spesso orgiastica, e l’ingestione del seme e del sangue (retaggio di antichi culti mesopotamici, orientali e della Grecia antica) era per loro il modo di celebrare l’ultima cena. Il tema è stato approfondito e studiato da vari autori, tra i quali Clement de Saint-Marq. Ho rispolverato questi autori, ho organizzato in un agile libro alcuni di questi motivi interpretativi, li ho accostati alle pratiche tantriche per ribadire l’esistenza di una potenziale continuità tra oriente ed occidente. Ovviamente sono stato accusato di mentire o di promuovere pratiche oscene. C’è persino chi mi ha accusato di favorire la giustificazione della pedofilia tra i preti! Mi sono limitato a riportare studi ed informazioni esistenti da tempo, non ho scritto che bisognerebbe fare così, o che questa sia la verità. Ma le persone, come sempre quando si tocca qualche corda profonda, si scagliano con violenza contro il megafono. La fiera dell’ignoranza. Mi sono divertito a battagliare con qualche cattolico oltranzista che invocava per me la dannazione dell’anima, o che rimpiangeva la “messa all’indice”, ma anche con qualche collega disattento (sto usando un eufemismo), che non ha capito che mi riferivo a testi antichi e pensava scrivessi per indurre a praticare in tal modo l’eucarestia, o che le idee fossero mie e andassero bandite perché pericolose, sconce o eticamente inaccettabili. Un sorriso anche per loro.
YOGA & ORIENTE
I tuoi lavori sono indirizzati molto nell’indagine della tradizione che è definita Orientale. Come mai senti questa necessità?
Più che di una necessità, si tratta di una contingenza. Non saprei dire perché fin dall’adolescenza ho nutrito una certa attrazione per le figure mitologiche orientali, ma a 18 anni ho iniziato a praticare yoga, anche in eccesso, e meditazione. Poi gli studi universitari hanno sancito questo mio interesse, che ha trovato soddisfazione in testi irreperibili o fuori commercio, che mi venivano prestati dal prof. Piantelli, durante il periodo di stesura della tesi di laurea. Oggi credo che ciò che mi anima nel mio studio e lavoro comparativo, è la volontà di mostrare quanta continuità ed identità ci siano tra oriente ed occidente, al contrario di quanto spesso accada coltivando l’idea che siano come due emisferi del mondo. Mi è capitato di proporre lezioni o mini-corsi di 30 ore sul confronto tra filosofia occidentale ed orientale all’interno di licei classici pubblici di Torino, è stata una grandissima esperienza, perché mi ha permesso di incontrare ragazzi motivati e interessati. Sono convinto che molto del lavoro di rinvenimento della continuità tra mondo orientale e mondo occidentale sia ancora da compiere. Pensa che pochi anni fa sono venuti finalmente alla luce un insieme di testi della cultura hindu che parlano di alchimia, della lavorazione dei metalli, zolfo, mercurio ecc., e delle operazioni o fasi che noi conosciamo grazie a testi occidentali del rinascimento. Bene, questi testi hindu sono stati redatti a partire dal II° sec. d.C.! Se pensi che fino a ieri pensavamo all’alchimia come a un prodotto occidentale del tardo medioevo…
Più che di una necessità, si tratta di una contingenza. Non saprei dire perché fin dall’adolescenza ho nutrito una certa attrazione per le figure mitologiche orientali, ma a 18 anni ho iniziato a praticare yoga, anche in eccesso, e meditazione. Poi gli studi universitari hanno sancito questo mio interesse, che ha trovato soddisfazione in testi irreperibili o fuori commercio, che mi venivano prestati dal prof. Piantelli, durante il periodo di stesura della tesi di laurea. Oggi credo che ciò che mi anima nel mio studio e lavoro comparativo, è la volontà di mostrare quanta continuità ed identità ci siano tra oriente ed occidente, al contrario di quanto spesso accada coltivando l’idea che siano come due emisferi del mondo. Mi è capitato di proporre lezioni o mini-corsi di 30 ore sul confronto tra filosofia occidentale ed orientale all’interno di licei classici pubblici di Torino, è stata una grandissima esperienza, perché mi ha permesso di incontrare ragazzi motivati e interessati. Sono convinto che molto del lavoro di rinvenimento della continuità tra mondo orientale e mondo occidentale sia ancora da compiere. Pensa che pochi anni fa sono venuti finalmente alla luce un insieme di testi della cultura hindu che parlano di alchimia, della lavorazione dei metalli, zolfo, mercurio ecc., e delle operazioni o fasi che noi conosciamo grazie a testi occidentali del rinascimento. Bene, questi testi hindu sono stati redatti a partire dal II° sec. d.C.! Se pensi che fino a ieri pensavamo all’alchimia come a un prodotto occidentale del tardo medioevo…
Credi che un percorso
orientale sia possibile per un Occidentale dei giorni nostri? Perché
pensi che alcune personalità (v. Dion Fortune e Jean Dubuis) non siano
concordi su questo punto?
Non è facile per un occidentale, a meno che non vada a vivere in oriente, “importare” un percorso orientale ed adattarlo allo stile di vita occidentale. Condizioni troppo diverse, luoghi ed energie diverse. Per questo, in parte, concordo con D. Fortune e J. Dubuis. Ma non è nemmeno vero che per noi sia inutile praticare meditazione, yoga o altre discipline provenienti dall’oriente. Non dobbiamo rischiare il “razzismo” o il “regionalismo” spirituale, che è una becera illusione, fondata su cecità, ignoranza e non accettazione del divenire. Se lavoro a lungo con la respirazione controllata, gli effetti chimici sull’accumulo di ossigeno/anidride carbonica nel sangue saranno un dato “oggettivo”, che io sia qui o a Varanasi (dove probabilmente è persino peggiore la qualità dell’aria). Le prove di questo sono relativamente recenti, e riguardano l’osservazione strumentale delle variazioni neurochimiche e dell’attivazione di aree ed onde cerebrali durante stati di meditazione. Esperimenti condotti negli Stati Uniti sia su persone orientali che su esperti di meditazione occidentali che vivevano e lavoravano in occidente hanno prodotto risultati identici. Quindi esiste anche un terreno comune che rende utili ed efficaci le tecniche orientali a prescindere dal luogo in cui vengono praticate o dalla nazionalità di chi le pratica. Poi, alcune cose non dipendono dalla tecnica, ma dallo “spirito”, che è anche un’emanazione dei luoghi e delle culture. Una sciamana siberiana o centramericana funziona meglio di un italiano che si applichi nella ritualità sciamanica. Un haitiano sa far funzionare il voodoo realmente, sicuramente più di quanto possa fare un europeo “esperto” in materia e così via.
Non è facile per un occidentale, a meno che non vada a vivere in oriente, “importare” un percorso orientale ed adattarlo allo stile di vita occidentale. Condizioni troppo diverse, luoghi ed energie diverse. Per questo, in parte, concordo con D. Fortune e J. Dubuis. Ma non è nemmeno vero che per noi sia inutile praticare meditazione, yoga o altre discipline provenienti dall’oriente. Non dobbiamo rischiare il “razzismo” o il “regionalismo” spirituale, che è una becera illusione, fondata su cecità, ignoranza e non accettazione del divenire. Se lavoro a lungo con la respirazione controllata, gli effetti chimici sull’accumulo di ossigeno/anidride carbonica nel sangue saranno un dato “oggettivo”, che io sia qui o a Varanasi (dove probabilmente è persino peggiore la qualità dell’aria). Le prove di questo sono relativamente recenti, e riguardano l’osservazione strumentale delle variazioni neurochimiche e dell’attivazione di aree ed onde cerebrali durante stati di meditazione. Esperimenti condotti negli Stati Uniti sia su persone orientali che su esperti di meditazione occidentali che vivevano e lavoravano in occidente hanno prodotto risultati identici. Quindi esiste anche un terreno comune che rende utili ed efficaci le tecniche orientali a prescindere dal luogo in cui vengono praticate o dalla nazionalità di chi le pratica. Poi, alcune cose non dipendono dalla tecnica, ma dallo “spirito”, che è anche un’emanazione dei luoghi e delle culture. Una sciamana siberiana o centramericana funziona meglio di un italiano che si applichi nella ritualità sciamanica. Un haitiano sa far funzionare il voodoo realmente, sicuramente più di quanto possa fare un europeo “esperto” in materia e così via.
Cos’è lo Yoga?
Altra domanda a cui è impossibile fornire una risposta, almeno in breve. Vorrei innanzitutto che lo yoga non fosse una forma di ginnastica o un modo di rilassarsi, come ha finito per essere qui in occidente. Vorrei che lo yoga fosse ancora, o di nuovo, un modo per sbarazzarsi di tutto ciò che si identifica come “se stessi”.
Ti risponderò con una visione personale, frutto di anni di pratica, e tenendo presente che l’occidentale di oggi non può che vivere una forma “depotenziata” di yoga. Yoga è l’arte (non improvvisata) del gesto sacralizzato, caricato di significato e potenza. Yoga è sapere denudarsi dentro. E’ la disciplina della solitudine come forma di benedizione ed indipendenza. E’ la costruzione di appigli e strumenti di controllo interiore finalizzato ad una graduale perdita di controllo. Yoga è il continuo rapporto tra il dentro ed il fuori. Yoga è stare di fronte ad uno specchio immerso nel buio.
Altra domanda a cui è impossibile fornire una risposta, almeno in breve. Vorrei innanzitutto che lo yoga non fosse una forma di ginnastica o un modo di rilassarsi, come ha finito per essere qui in occidente. Vorrei che lo yoga fosse ancora, o di nuovo, un modo per sbarazzarsi di tutto ciò che si identifica come “se stessi”.
Ti risponderò con una visione personale, frutto di anni di pratica, e tenendo presente che l’occidentale di oggi non può che vivere una forma “depotenziata” di yoga. Yoga è l’arte (non improvvisata) del gesto sacralizzato, caricato di significato e potenza. Yoga è sapere denudarsi dentro. E’ la disciplina della solitudine come forma di benedizione ed indipendenza. E’ la costruzione di appigli e strumenti di controllo interiore finalizzato ad una graduale perdita di controllo. Yoga è il continuo rapporto tra il dentro ed il fuori. Yoga è stare di fronte ad uno specchio immerso nel buio.
Che valore dare allo Yoga?
Il valore è di tipo empirico, dato dal vissuto ed è a carattere pratico. Il lato esperienziale è il suo punto di forza ma anche il suo limite; da un punto di vista psicologico lo Yoga offre una possibilità di sviluppo, di smascheramento. Con lo yoga ho cominciato a capire che tutto ciò che conoscevo o credevo di conoscere di me era falso o quantomeno parziale. Poi venne il tempo di uno yoga compulsivo, un eccesso di raccoglimento, che rischiava di essere pura evasione o fuga dal mondo. Ho capito che non dovevo chiudere gli occhi ed entrare in me (tipico dello yoga), ma chiudere gli occhi ed uscire da me (tipico dell’estasi). Dovevo identificarmi nel mondo, ristabilire l’unità tra esterno ed interno, tra mondo e psiche. Lo Yoga mi ha aiutato a capire quali sono i limiti dello yoga, e i rischi dell’enfatizzazione della differenza tra dentro e fuori. Invece bisogna andare verso l’annullamento di ogni differenza, anche tra il dentro ed il fuori. Poi, però, vista l’eccessiva tendenza ad ascendere, salire, spiritualizzare, ho dovuto presto fare i conti con la necessità di scendere, immergersi, mischiarsi. Arrivavo a non sopportare il fatto di avere un corpo, e quando si arriva a questa sensazione significa che c’è qualcosa che non va. In fondo siamo innanzitutto incarnati. Non c’è realizzazione senza unione tra gli opposti. Tenebre e Luce, interno ed esterno, ascesi e discesa, bene e male, tutto in uno. Quando ho iniziato una graduale discesa agli inferi, consapevole e senza paura, ho usato alcuni additivi psicotropi come strumento di amplificazione della percezione ed alterazione della coscienza. Diciamo che gli stupefacenti mi hanno aiutato ad uscire dal “tunnel” dello yoga. Gli psicoattivi mi hanno salvato dalla spiritualità compulsiva, permettendomi di non sprofondare nell’eccesso di raccoglimento, e di ristabilire un contatto con la stessa maya (illusione, o meglio malìa) di cui sono composti sia l’universo che la coscienza. L’allucinazione e la distorsione sensoriale sono una forma di allargamento delle frontiere della percezione e della consapevolezza; persino il rasentare la psicosi è una forma di rinsavimento. La consapevolezza e la percezione sono connesse a qualche forma segreta di creatività; da ciò che ho potuto sperimentare nei picchi della meditazione o dell’esperienza indotta da additivi, credo che avesse ragione Buddha: non vi è alcuna anima, non vi è alcuna essenza. La sola “realtà reale” è il nulla, un nulla fecondo che accoglie il sostanziale nella forma della vacuità e dell’assoluta impermanenza. La creatività e la precarietà sono alleate. In questo senso è profondamente vero, secondo la mia percezione, che l’intero cosmo ed il dispiegarsi della vita siano una forma di concreta e duratura allucinazione. Sono convinto che a scuola dovrebbero insegnare un uso consapevole degli psicoattivi ed offrire a tutti i ragazzi un rapporto diretto, attivo e creativo con l’onirico e con il proprio inconscio. Poi, dopo la discesa agli inferi, il ciclo si è chiuso definitivamente, ormai anni fa, e da allora non ho più usato alcun additivo per “navigare” nel fluido della materia inconscia. Ora non ne ho alcun bisogno o giovamento, riesco ad entrare ed uscire agevolmente.
Il valore è di tipo empirico, dato dal vissuto ed è a carattere pratico. Il lato esperienziale è il suo punto di forza ma anche il suo limite; da un punto di vista psicologico lo Yoga offre una possibilità di sviluppo, di smascheramento. Con lo yoga ho cominciato a capire che tutto ciò che conoscevo o credevo di conoscere di me era falso o quantomeno parziale. Poi venne il tempo di uno yoga compulsivo, un eccesso di raccoglimento, che rischiava di essere pura evasione o fuga dal mondo. Ho capito che non dovevo chiudere gli occhi ed entrare in me (tipico dello yoga), ma chiudere gli occhi ed uscire da me (tipico dell’estasi). Dovevo identificarmi nel mondo, ristabilire l’unità tra esterno ed interno, tra mondo e psiche. Lo Yoga mi ha aiutato a capire quali sono i limiti dello yoga, e i rischi dell’enfatizzazione della differenza tra dentro e fuori. Invece bisogna andare verso l’annullamento di ogni differenza, anche tra il dentro ed il fuori. Poi, però, vista l’eccessiva tendenza ad ascendere, salire, spiritualizzare, ho dovuto presto fare i conti con la necessità di scendere, immergersi, mischiarsi. Arrivavo a non sopportare il fatto di avere un corpo, e quando si arriva a questa sensazione significa che c’è qualcosa che non va. In fondo siamo innanzitutto incarnati. Non c’è realizzazione senza unione tra gli opposti. Tenebre e Luce, interno ed esterno, ascesi e discesa, bene e male, tutto in uno. Quando ho iniziato una graduale discesa agli inferi, consapevole e senza paura, ho usato alcuni additivi psicotropi come strumento di amplificazione della percezione ed alterazione della coscienza. Diciamo che gli stupefacenti mi hanno aiutato ad uscire dal “tunnel” dello yoga. Gli psicoattivi mi hanno salvato dalla spiritualità compulsiva, permettendomi di non sprofondare nell’eccesso di raccoglimento, e di ristabilire un contatto con la stessa maya (illusione, o meglio malìa) di cui sono composti sia l’universo che la coscienza. L’allucinazione e la distorsione sensoriale sono una forma di allargamento delle frontiere della percezione e della consapevolezza; persino il rasentare la psicosi è una forma di rinsavimento. La consapevolezza e la percezione sono connesse a qualche forma segreta di creatività; da ciò che ho potuto sperimentare nei picchi della meditazione o dell’esperienza indotta da additivi, credo che avesse ragione Buddha: non vi è alcuna anima, non vi è alcuna essenza. La sola “realtà reale” è il nulla, un nulla fecondo che accoglie il sostanziale nella forma della vacuità e dell’assoluta impermanenza. La creatività e la precarietà sono alleate. In questo senso è profondamente vero, secondo la mia percezione, che l’intero cosmo ed il dispiegarsi della vita siano una forma di concreta e duratura allucinazione. Sono convinto che a scuola dovrebbero insegnare un uso consapevole degli psicoattivi ed offrire a tutti i ragazzi un rapporto diretto, attivo e creativo con l’onirico e con il proprio inconscio. Poi, dopo la discesa agli inferi, il ciclo si è chiuso definitivamente, ormai anni fa, e da allora non ho più usato alcun additivo per “navigare” nel fluido della materia inconscia. Ora non ne ho alcun bisogno o giovamento, riesco ad entrare ed uscire agevolmente.
ESOTERISMO & FILOSOFIA
Cos’è l’Esoterismo?
E’ l’ennesimo “…ismo”, quindi un’altra etichetta ormai abusata, sbiadita, logorata. Una volta “esoterismo” era un termine ricco e vivo, potente e denso di implicazioni. Termine che concerne il lato intimo, interno. Oggi l’esoterismo è diventato essoterico, perché l’interno è oggetto di esibizione, si rifugia nelle superfici per sopravvivere, perché quasi nessuno osa sprofondare. La definizione di esoterismo si è inspessita ed annacquata troppo, ormai include di tutto, quindi ha perso valore. Secondo me è un altro termine “ucciso” dal volgo, un’altra “parola perduta”, ormai quasi inutilizzabile. Di “esoterico”, nel mio quotidiano, mi resta l’immaginazione, il contatto con l’onirico, il mio stare presso l’ombra, il silenzio, e quel daimon celato in tutto ciò che vive, che cerco costantemente di ascoltare.
E’ l’ennesimo “…ismo”, quindi un’altra etichetta ormai abusata, sbiadita, logorata. Una volta “esoterismo” era un termine ricco e vivo, potente e denso di implicazioni. Termine che concerne il lato intimo, interno. Oggi l’esoterismo è diventato essoterico, perché l’interno è oggetto di esibizione, si rifugia nelle superfici per sopravvivere, perché quasi nessuno osa sprofondare. La definizione di esoterismo si è inspessita ed annacquata troppo, ormai include di tutto, quindi ha perso valore. Secondo me è un altro termine “ucciso” dal volgo, un’altra “parola perduta”, ormai quasi inutilizzabile. Di “esoterico”, nel mio quotidiano, mi resta l’immaginazione, il contatto con l’onirico, il mio stare presso l’ombra, il silenzio, e quel daimon celato in tutto ciò che vive, che cerco costantemente di ascoltare.
Quanto la nostra cultura è contaminata da tematiche Esoteriche?
Dipende dallo sguardo con cui si interpreta il mondo. Con un occhio vedo riferimenti esoterici ovunque, con l’altro non trovo che flebili tracce, faticose da seguire, nelle pieghe e nei recessi più oscuri della nostra società o cultura. L’esoterico è l’ermetico, e di ermetico resta ben poco nel nostro mondo. Quel poco suscita inquietudini e paure. Forse un residuo esoterico nella cultura odierna è rinvenibile nell’attitudine ermeneutica, che è parzialmente ermetica, ma in un senso ancora troppo letterale. Credo che la nostra cultura sia “contaminata” da tematiche esoteriche nella quantità e nella misura in cui sappiamo, crediamo o vogliamo che lo sia. Vivere la vita come fosse l’onirico, una parvenza, una visione, un’allucinazione, questo è utile perché consente di elevare ogni dettaglio o evento a simbolo, stanando l’afflato contemplativo e successivamente interpretativo. Se vivo ogni istante come un simbolo, tutto può diventare messaggio.
Dipende dallo sguardo con cui si interpreta il mondo. Con un occhio vedo riferimenti esoterici ovunque, con l’altro non trovo che flebili tracce, faticose da seguire, nelle pieghe e nei recessi più oscuri della nostra società o cultura. L’esoterico è l’ermetico, e di ermetico resta ben poco nel nostro mondo. Quel poco suscita inquietudini e paure. Forse un residuo esoterico nella cultura odierna è rinvenibile nell’attitudine ermeneutica, che è parzialmente ermetica, ma in un senso ancora troppo letterale. Credo che la nostra cultura sia “contaminata” da tematiche esoteriche nella quantità e nella misura in cui sappiamo, crediamo o vogliamo che lo sia. Vivere la vita come fosse l’onirico, una parvenza, una visione, un’allucinazione, questo è utile perché consente di elevare ogni dettaglio o evento a simbolo, stanando l’afflato contemplativo e successivamente interpretativo. Se vivo ogni istante come un simbolo, tutto può diventare messaggio.
Come mai pensi che questi
elementi anche se presenti in quasi ogni disciplina siano tenuti alla
larga da ambienti Universitari e vengano nella quasi totalità dei casi
evitati?
In parte ho risposto sopra, l’aria sta cambiando ed il futuro potrebbe riservare buone notizie anche per noi italiani. Sul fatto che fino ad ora non sia stato possibile, è inutile dilungarsi troppo. E’ scontato che i culti cristiani istituzionalizzati siano dalla parte opposta della sapienza esoterica, come è scontato che lo sia la c.d. “scienza ufficiale”. Sottotraccia, la cultura magico-mistica è sopravvissuta e si è evoluta ugualmente, ora può pensare di affacciarsi con coraggio e aspirare a un diritto di cittadinanza anche in ambito accademico.
In parte ho risposto sopra, l’aria sta cambiando ed il futuro potrebbe riservare buone notizie anche per noi italiani. Sul fatto che fino ad ora non sia stato possibile, è inutile dilungarsi troppo. E’ scontato che i culti cristiani istituzionalizzati siano dalla parte opposta della sapienza esoterica, come è scontato che lo sia la c.d. “scienza ufficiale”. Sottotraccia, la cultura magico-mistica è sopravvissuta e si è evoluta ugualmente, ora può pensare di affacciarsi con coraggio e aspirare a un diritto di cittadinanza anche in ambito accademico.
TAROCCHI & KABBALAH
Tra i tuoi testi più noti c’è
“I Tarocchi e l’Albero della Vita”, edito da Psiche2 nel 2010. Come
descriveresti ad un non “addetto ai lavori” il Tarocco?
Sì, devo dire che quel libro è il mio miglior lavoro, decisamente onirico e personale. Svelo un piccolo segreto: alcuni avranno notato che talvolta, in quel testo, scrivo in prima persona. I saggi non sono quasi mai scritti in prima persona; il fatto è che interi stralci dei miei diari personali sono finiti a comporre il libro. La seconda ristampa è già uscita da tempo e continua a vendere bene. In un paio di forum specializzati è stato classificato come il miglior testo mai uscito in Italia sui Tarocchi e la correlazione con la Cabala. Se dovessi rivolgermi ad un novizio, presenterei i tarocchi come dei crogioli di simboli, con matrice archetipica, che raccontano la storia, passo a passo, dell’Iniziazione, del percorso interiore di emancipazione; inoltre gli consiglierei di usare i Tarocchi come fossero specchi per l’inconscio, anziché partire dalla divinazione.
Sì, devo dire che quel libro è il mio miglior lavoro, decisamente onirico e personale. Svelo un piccolo segreto: alcuni avranno notato che talvolta, in quel testo, scrivo in prima persona. I saggi non sono quasi mai scritti in prima persona; il fatto è che interi stralci dei miei diari personali sono finiti a comporre il libro. La seconda ristampa è già uscita da tempo e continua a vendere bene. In un paio di forum specializzati è stato classificato come il miglior testo mai uscito in Italia sui Tarocchi e la correlazione con la Cabala. Se dovessi rivolgermi ad un novizio, presenterei i tarocchi come dei crogioli di simboli, con matrice archetipica, che raccontano la storia, passo a passo, dell’Iniziazione, del percorso interiore di emancipazione; inoltre gli consiglierei di usare i Tarocchi come fossero specchi per l’inconscio, anziché partire dalla divinazione.
…e cosa gli diresti a proposito dell’Albero della Vita?
Gli direi che se vuol rubarne il frutto deve superare la spada fiammeggiante che rotea in tutte le direzioni e la guardia di due cherubini: quindi deve rovesciare la lingua verso il fondo del palato e girare i due occhi fissandoli sul terzo occhio. Scherzo, ma non troppo! Nell’ambito cabalistico, l’Albero della Vita è un tipico sistema emanazionistico: può essere letto dall’alto in basso, interpretandolo come modello cosmogonico, oppure dal basso in alto, interpretandolo come modello ascetico o mistico. L’Albero della Vita è connesso all’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, il frutto del primo ci renderebbe “come” Dio, il frutto del secondo ha aperto gli occhi di Adamo ed Eva, ma ha provocato l’espulsione dal giardino del piacere (Eden). Ciò significa che un rapporto diretto con la Vita, un cibarsi della vita in senso Nietzschiano, ci avvicina all’orizzonte assoluto (mediante l’estasi), mentre la Conoscenza ci allontana dal mondo e ci separa dal senso di meraviglia innocente e primordiale che abbiamo quando sperimentiamo un fenomeno senza ancora conoscerne le dinamiche. La Conoscenza vieta l’estasi di una nuda contemplazione, perché entra nei motivi, nelle dinamiche, nelle cause, nei funzionamenti. L’apertura degli occhi spegne parte del sogno che anima e sostiene l’attitudine magica. Vivo spesso ad occhi chiusi, o se li apro cerco di tenerli aperti in una silente contemplazione, uno stupore che mi riporta allo stato edenico dell’infanzia, dove una cascata era un simbolo magico, e non H2O attratta al suolo dalla forza di gravità, o in cui un arcobaleno era un miracolo, e non un fenomeno di diffrazione della luce solare che attraversa goccioline di acqua in sospensione…
Gli direi che se vuol rubarne il frutto deve superare la spada fiammeggiante che rotea in tutte le direzioni e la guardia di due cherubini: quindi deve rovesciare la lingua verso il fondo del palato e girare i due occhi fissandoli sul terzo occhio. Scherzo, ma non troppo! Nell’ambito cabalistico, l’Albero della Vita è un tipico sistema emanazionistico: può essere letto dall’alto in basso, interpretandolo come modello cosmogonico, oppure dal basso in alto, interpretandolo come modello ascetico o mistico. L’Albero della Vita è connesso all’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, il frutto del primo ci renderebbe “come” Dio, il frutto del secondo ha aperto gli occhi di Adamo ed Eva, ma ha provocato l’espulsione dal giardino del piacere (Eden). Ciò significa che un rapporto diretto con la Vita, un cibarsi della vita in senso Nietzschiano, ci avvicina all’orizzonte assoluto (mediante l’estasi), mentre la Conoscenza ci allontana dal mondo e ci separa dal senso di meraviglia innocente e primordiale che abbiamo quando sperimentiamo un fenomeno senza ancora conoscerne le dinamiche. La Conoscenza vieta l’estasi di una nuda contemplazione, perché entra nei motivi, nelle dinamiche, nelle cause, nei funzionamenti. L’apertura degli occhi spegne parte del sogno che anima e sostiene l’attitudine magica. Vivo spesso ad occhi chiusi, o se li apro cerco di tenerli aperti in una silente contemplazione, uno stupore che mi riporta allo stato edenico dell’infanzia, dove una cascata era un simbolo magico, e non H2O attratta al suolo dalla forza di gravità, o in cui un arcobaleno era un miracolo, e non un fenomeno di diffrazione della luce solare che attraversa goccioline di acqua in sospensione…
Pensi che lo studio del Tarocco sia inscindibile da un preventivo studio Qabalistico?
Secondo me non è inscindibile, si può benissimo avere un profondo rapporto con le immagini ed i significati dei Tarocchi senza studiare le corrispondenze della Cabala. Agiscono su due livelli diversi, le immagini e le conoscenze intellettuali. C’è la stessa differenza che esiste tra simboli e formule: i primi sono connessi all’inconscio e all’immaginazione, le seconde all’intelletto e alla facoltà razionale. Le immagini fanno la differenza, e probabilmente, prima della relazioni cabalistiche, consiglierei di studiare le correlazioni astrologiche, che secondo me sono più importanti nel rapporto con i significati dei Tarocchi. Inoltre le attribuzioni astrologiche conservano una densità simbolica maggiore rispetto alle attribuzioni alfabetiche e numeriche tipiche della Cabala. Le correlazioni cabalistiche aiutano, ma ho sensazione che siano un’aggiunta, un arricchimento, non un fondamento irrinunciabile.
Secondo me non è inscindibile, si può benissimo avere un profondo rapporto con le immagini ed i significati dei Tarocchi senza studiare le corrispondenze della Cabala. Agiscono su due livelli diversi, le immagini e le conoscenze intellettuali. C’è la stessa differenza che esiste tra simboli e formule: i primi sono connessi all’inconscio e all’immaginazione, le seconde all’intelletto e alla facoltà razionale. Le immagini fanno la differenza, e probabilmente, prima della relazioni cabalistiche, consiglierei di studiare le correlazioni astrologiche, che secondo me sono più importanti nel rapporto con i significati dei Tarocchi. Inoltre le attribuzioni astrologiche conservano una densità simbolica maggiore rispetto alle attribuzioni alfabetiche e numeriche tipiche della Cabala. Le correlazioni cabalistiche aiutano, ma ho sensazione che siano un’aggiunta, un arricchimento, non un fondamento irrinunciabile.
È essenziale in un percorso di sviluppo spirituale apprendere l’Arte Divinatoria del Tarocco?
Non credo che l’apprendimento dell’Arte divinatoria sia essenziale per lo sviluppo interiore del soggetto. Non è la propria via iniziatica a dipendere dall’Arte divinatoria, ma sicuramente è vero il contrario: l’Arte divinatoria può dipendere dal proprio progresso interiore, soprattutto in termini di sensibilità interpretativa.
Non credo che l’apprendimento dell’Arte divinatoria sia essenziale per lo sviluppo interiore del soggetto. Non è la propria via iniziatica a dipendere dall’Arte divinatoria, ma sicuramente è vero il contrario: l’Arte divinatoria può dipendere dal proprio progresso interiore, soprattutto in termini di sensibilità interpretativa.
Quale mazzo consiglieresti?
Uso il magnifico mazzo di Susan Jameson, ma ormai non è più reperibile. In alternativa consiglio sempre il mazzo di Aleister Crowley, per la densità simbolica. Altrimenti, valga la sola regola aurea del ricorso al mazzo che si “sente” più vicino al proprio spirito, quello più rappresentativo e significativo per sé.
Uso il magnifico mazzo di Susan Jameson, ma ormai non è più reperibile. In alternativa consiglio sempre il mazzo di Aleister Crowley, per la densità simbolica. Altrimenti, valga la sola regola aurea del ricorso al mazzo che si “sente” più vicino al proprio spirito, quello più rappresentativo e significativo per sé.
Ultimamente si sta
diffondendo un approccio psicologico alla cartomanzia, uno tra i tanti
che usa il tarocco come mezzo di indagine psicologia è Alejandro
Jodorowsky. Cosa ne pensi di questo tipo di approccio?
Credo sia troppo condizionato dalla fascinazione per la psicologia. Capita anche in astrologia. La psicologia ha fornito un’ottima scusa a chi si occupa di simboli e divinazione per dare una casa, un senso profondo ed un insieme di significati razionalmente accettabili a tutto un insieme di nozioni, simboli e strutture che stavano perdendo terreno e valore man mano che l’illuminismo ed il razionalismo portavano innanzi la fiaccola dell’intelletto. Il problema è che la psicologia apre nuovi problemi, mentre spesso la si usa per “spiegare”. La complessità delle discipline psicologiche e la volatilità della materia di cui trattano, rende la psicologia un ibrido: vorrebbe essere scienza ma non ne ha i mezzi, viene chiamata in causa dagli “esoteristi” ma non è sufficientemente esoterica. Jung non è tutta la psicologia. Spesso chi usa tarocchi od oroscopi si riferisce a Jung, conoscendolo parzialmente (sfido a conoscere a fondo Jung!), e crede così di fare “psicologia”, ma naturalmente ciò è ridicolo, perché Jung non basta a giustificare una lettura psicologica del piano natale o dei tarocchi, come non basta a far da riferimento per l’intera psicologia. Come sempre ignoranza ed approssimazione giocano a favore della giustificazione e validificazione di arti semi incomprese. Credo sia un bene che restino zone d’ombra, vaste aree di incomprensibilità e momenti di fecondo disorientamento, affinché non sia tolto all’esoterismo quel poco di “esoterico” che ancora lo sostiene.
Credo sia troppo condizionato dalla fascinazione per la psicologia. Capita anche in astrologia. La psicologia ha fornito un’ottima scusa a chi si occupa di simboli e divinazione per dare una casa, un senso profondo ed un insieme di significati razionalmente accettabili a tutto un insieme di nozioni, simboli e strutture che stavano perdendo terreno e valore man mano che l’illuminismo ed il razionalismo portavano innanzi la fiaccola dell’intelletto. Il problema è che la psicologia apre nuovi problemi, mentre spesso la si usa per “spiegare”. La complessità delle discipline psicologiche e la volatilità della materia di cui trattano, rende la psicologia un ibrido: vorrebbe essere scienza ma non ne ha i mezzi, viene chiamata in causa dagli “esoteristi” ma non è sufficientemente esoterica. Jung non è tutta la psicologia. Spesso chi usa tarocchi od oroscopi si riferisce a Jung, conoscendolo parzialmente (sfido a conoscere a fondo Jung!), e crede così di fare “psicologia”, ma naturalmente ciò è ridicolo, perché Jung non basta a giustificare una lettura psicologica del piano natale o dei tarocchi, come non basta a far da riferimento per l’intera psicologia. Come sempre ignoranza ed approssimazione giocano a favore della giustificazione e validificazione di arti semi incomprese. Credo sia un bene che restino zone d’ombra, vaste aree di incomprensibilità e momenti di fecondo disorientamento, affinché non sia tolto all’esoterismo quel poco di “esoterico” che ancora lo sostiene.
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